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Pol Cesk

mercoledì 10 aprile 2019

Richiesta di assistenza, la nobiltà in disagio

Buongiorno a tutti,
la primavera di quest'anno mi sta dando parecchio fastidio, forse perché sono un po' scoraggiato nella ricerca di quel famoso "posto nel mondo" che un vecchio amico mi diceva (Vedi Il superfigo interiore).
Nonostante tutto, mai mollare! Voi come state?

Vi racconto di una nuova conoscenza che ho fatto pochi mesi fa:

Un giorno d'autunno dell'anno scorso ricevo una telefonata dalla mia psichiatra che, dopo avermi chiesto come stavo e raccomandandomi di seguire la terapia e fare gli esami del sangue, mi raccontò la storia di Giovanni, da adesso G,  un uomo sulla cinquantina di una ricca famiglia della mia città con problemi psichici.
Al mio stupore riguardo al perché venisse a raccontarmi di questa storia, la Doc mi comunica che pensava di farmi conoscere G, visto che io stavo meglio da parecchio tempo e che le avevo detto che volevo rendermi utile.
Molto contento e gasato da questo incarico, decido di incontrare G. Non erano molte le occasioni di essere tenuto in considerazione, soprattutto da medici psichiatri.
Organizziamo l'incontro che viene strutturato in due fasi: prima parliamo con la madre, io e la psichiatra e poi, si aggiunge G.

Durante la prima fase del colloquio, quello con la madre, mi sono subito reso conto che la mamma di G, a differenza della mia, era molto presente, forse troppo, nella vita di suo figlio; cosa abbastanza tipica delle mamme italiane. Non so bene quale sia la storia clinica di G e che stile di vita lo abbia portato ad avere questo rapporto così stretto con la sua madre ormai ottuagenaria. Sta di fatto che, per il mio modo di vedere, il rapporto madre-figlio in questione è abbastanza strano e, passatemi il termine, malato.
Nella mia telefonata con la Doc anche lei, parlando del rapporto tra i due, lo definiva quasi edipico. Pensando al quadretto familiare: mamma vedova e figlio cinquantenne bisognoso di cure mentali, si fa presto a capire che c'è qualcosa di innaturale.

Nobildonna con bambino nel degrado urbano


Passiamo quindi alla seconda parte, quella in cui entra G.
Fin da subito, mi è sembrato molto intelligente ed educato, aveva il classico "pancione" da assunzione di pastiglie e lamentava con la Doc un problema di prurito e salivazione per via delle pastiglie che assumeva. La psichiatra espone a G la sua intenzione di farci frequentare un po' per vedere se questo potesse dagli beneficio. In realtà, non è andata così, perché la mia intenzione era ben diversa.
Quando avevo esposto la volontà di rendermi utile alla causa della sanità mentale, non intendevo che avessi fatto da "dama di compagnia", passatemi il termine, a G, per alleviare il fatto che se ti senti escluso, strano e un po' pazzerello, nessuno dei tuoi conoscenti e amici vuole la tua compagnia.
Infatti, non ho accettato l'incarico perché, ammesso che esista come mestiere, si tratta di una sorta di tutor mentale, ma senza aver nessuna competenza in psicologia e psichiatria, non me la sono sentita.
Provate pensare al fatto che, magari, G potesse interpretare certe mie parole in modo non corretto, la mia responsabilità sarebbe troppo grande.

Nei giorni successivi, ma anche tutt'ora, mi trovo a pensare alle differenze tra il mio caso e quello di G. Innanzitutto, la disponibilità economica. Io vengo da una famiglia medio borghese, mentre G viene da una famiglia che è un connubio tra imprenditoria e "nobiltà", quindi decisamente ricca. Non dico una bugia, se affermo che lo stile di vita e le frequentazioni cambiano di molto a seconda di com'è inserita una famiglia nella società. Non oso immaginare a che party e vacanze potessero essere abituati i componenti della famiglia di G.

Una volta finito l'appuntamento con la psichiatra, ci siamo trovati fuori io e G, abbiamo acceso tutti e due una sigaretta. Poco dopo, vedo G che va verso un albero e, in pieno giorno, si mette a urinare incurante dei passanti. Dopo aver espletato i suoi bisogni corporali, torna da me e gli dico: "La prossima volta andiamo in un bar, ci credo che dopo ti danno del matto. L'ultima volta che ho pisciato all'aperto ero ubriaco e di notte!". 
Abbiamo parlato un po' e di cosa faceva per passare la giornata e della noia che lo affliggeva, e a quanto si faceva schifo per il suo aspetto, peggiorato dalla terapia assunta. Io, un po' spiazzato da questo mio nuovo ruolo di "consigliere dei malati mentali", dissi l'unica cosa che mi veniva in mente considerando la situazione, anche familiare ed economica di G: "Avere il benessere economico è sicuramente un grande vantaggio che hai. Anche se si hanno dei problemi mentali, si può accedere ai migliori specialisti del campo, ma a differenza delle altre malattie, per essere felici o almeno sopportare noi stessi, dobbiamo sempre avere degli obiettivi concreti che ci facciano accettare dai cosiddetti normali, ti consiglio di trovarne uno al più presto che ti impegni la mente".

Dopo quel giorno, ci siamo sentiti per telefono e basta, io gli ho detto che sto cercando fare del volontariato per combattere lo stigma della malattia mentale in tutte le forme, mentre lui era sempre concentrato sul lamentarsi che è sempre da solo e che i suoi amici non lo vogliono più vedere. Purtroppo, c'è anche da dire che l'età cronicizza certi meccanismi mentali, quindi per G potrebbe essere molto difficile uscire da certi loop. 

Grazie per aver letto fino alla fine... sono un po' fuori allenamento.

Saluti

Pol




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